Paolo Saporiti
Paolo Saporiti
venerdì 11 aprile 2014
Non si intitola un disco con il proprio nome per caso. Non si comincia a scrivere canzoni in italiano – abbandonando l‘inglese al quinto disco – per caso. E non si suona musica folk così intima e verace, ma aprendola alle possibilità infinite di arrangiamenti radicalmente sperimentali, per caso. Insomma non si arriva ad un disco come questo nuovo lavoro di Paolo Saporiti seguendo rotte casuali.
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Dodici canzoni folk, nel genere e nell‘indole, ma soprattutto nel senso. Quello di un uomo che per la prima volta si apre come mai era accaduto, levando fra sé e l‘ascoltatore qualsiasi ostacolo – linguistico, ma non solo – per fare i conti con il proprio vissuto e quello delle proprie radici biografiche e famigliari (la copertina raffigura il nonno e il bisnonno di Saporiti). In un disco che il punto d‘arrivo e ripartenza di un percorso artistico e umano; un lavoro in cui la vita, l‘amore e la morte vengono cantati sulla pelle e sulle costole, senza paura di farsi e fare male, ma con la consapevolezza che è questa l‘unica strada verso la libertà.
“L‘ultimo ricatto” si chiamava il precedente lavoro in inglese di Paolo Saporiti e questa dichiarazione, insieme alla volontà di intitolare il nuovo lavoro con il proprio nome, spiega al meglio la scelta di libertà definitiva di un songwriter che conosce e maneggia il linguaggio della grande tradizione inglese e americana, lo sa piegare verso rotondità melodiche di grande impatto emotivo (anche grazie ad una voce potente e dalle tante sfumature) ma allo stesso tempo decide di intraprendere una strada di sorprese e agguati sonori.
Non si possono chiamare in altro modo, difatti, gli arrangiamenti che Xabier Iriondo (che produce e suona basso fuzz, mahai metak, waraku, field recordings e elettronica) ha concepito per questo disco insieme al titolare e un nugolo di musicisti d‘eccellenza come Cristiano Calcagnile (batteria), Luca D‘Alberto (archi), Stefano Ferrian (sax) e Roberto Zanisi (bouzouki). Detonazioni chitarristiche, ardite architetture d‘archi, sprazzi di noise anticonvenzionale, nevrastenie ritmiche e molto altro formano un‘avventura musicale tutta d‘avanscoperta, dove il contrasto fra la potenza cristallina della scrittura di Saporiti e le mille trovate dei musicisti che lo attorniano creano un qualcosa di unico.
Un lavoro di confine, fra classicità e sperimentazione, che di quella fecondità propria di ogni margine si nutre, lasciando vibrare verso l‘ascoltatore canzoni per le quali il respiro, il sangue e la luce non sono solamente parole.
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